Monsieur Proust
(Un suicidio perfetto)
[1988]
Ormai, dopo Paganini e Tenco, e visto il successo, se non altro di attenzione critica, di lettori e di editore (la Bastogi di Foggia, nella persona del suo titolare, Angelo Manuali, inaugurò un’apposita collana per il mio teatro), il mio percorso di drammaturgo aveva trovato il suo filone, gratificante per me, su un piano culturale e letterario, e stuzzicante per il lettore che, come disse sempre la mia “scopritrice” Graziella Corsinovi, e lo scrisse sempre anche nei saggi introduttivi a ogni mio lavoro, si trovava di fronte al protagonista rivisitato nella sua vita ma anche nella sua opera. Insomma, scriveva la Corsinovi, il mio lavoro teatrale era un originale ed efficace connubio, se così si può dire, fra biografia e critica, storia del personaggio e sua formazione artistica.
Così arrivò Proust: tre letture integrali dell’intera Recherche, delle quali una in Francese, una nella classica versione a più mani dell’Einaudi anni 50 (e che mani!) e una nella versione straordinaria di Giovanni Raboni per Mondadori (un capolavoro assoluto in un capolavoro assoluto), inoltre una trentina di biografie italiane e francesi, lettere e poesie, filmati, e poi sceneggiature sempre abbandonate (persino mostri sacri come Harold Pinter e Suso Cecchi D’Amico con Luchino Visconti ci provarono e abbandonarono), non so quante centinaia di pagine di appunti, elenchi di tutti i personaggi dell’immensità proustiana.
Dovevo riuscirci, e ci riuscii, a quanto pare e a quanto si disse: Proust in teatro, nella sua stanza di profumi e fumi, di polvere e libri, di asma e di morte sempre pronta, giunta soltanto quando lui decise che sì, poteva arrivare, dopo la parole “Fin” all’opera, e dopo avere avvertito la fedele Céleste, la sua ombra silenziosa.