Donna di carta velina
[1988]
È il secondo romanzo del ciclo generazionale, come lo definii dal primo romanzo che gli apparteneva, Amen.
Silvano Allegri ha fatto perdere le sue tracce e qualcuno comunque lo sta cercando. Ma appare qui Vera Santini, che si è staccata dalla famiglia paterna per rendersi autonoma nella vita e negli affetti, come quello per Dario, il ragazzo pescatore del piccolo paese dove lei è andata a vivere, che però si è lasciato andare, dapprima per gioco, esuberanza e sfida da onnipotente e invulnerabile, tipica dei giovani che si esibiscono per fare colpo, e invece divenuto schiavo della droga, eroina!
EEbbene, questa fragile ma straordinaria donna di carta velina, che appunto è Vera, invece di abbandonare il ragazzo ormai rovinato alle sue crisi di astinenza e alle sue ubriacature di tutto quel che trova per strada, si rimbocca le maniche e decide di tirarlo fuori dalla schiavitù della dose, anzi, delle dosi quotidiane sempre più frequenti e sempre più cariche, soltanto per… amore, perché lei lo ama davvero, e sa che l’unico modo in questi casi è la forza dei sentimenti, che inculca la consapevolezza e la volontà di uscirne, consapevolezza e volontà, da lì non si scappa.
È un percorso difficilissimo, ma l’amore o comunque la buona fede dei sentimenti (ecco che tornano i conti con il fantasma di Silvano Allegri) la spuntano anche sulla droga, e dopo interminabili periodi di ira, di sotterfugi, di fughe e riapparizioni, Dario torna vincitore da Vera… È guarito, si sente forte, ha ripreso a fare il pescatore sulle orme lasciate dal padre. Ma è una vittoria anch’essa utopistica, che dura il sogno di una illusione poco prima del logorante risveglio di fuoco nel piccolo porto dove sono al riparo le barche dei pescatori, compresa quella di Dario, che aveva appunto ripreso da poco l’attività paterna, e aveva ricominciato a sorridere… e invece…